Il Software Libero ed Open Source: istruzioni pratiche per giornalisti poco pratici

[EDIT: Subito dopo la pubblicazione di questo blogpost, l’articolo in questione è stato corretto, rimuovendo la “frase incriminata”.]

Grazie a Twitter ho scoperto un articolo della giornalista Marta Serafini apparso ieri su corriere.it. Nonostante l’articolo fosse incentrato su Google e la sua nuova tecnologia Knowledge Graph, l’autrice dell’articolo pensa bene di aggiungere un commento personale alla notizia che il sistema sfrutti un “database open source come Wikipedia” (affermazione che già di suo lascia abbastanza sconcertati chi sa cosa siano l’Open Source e i database). La frase incriminata è la seguente:

Open source, infatti significa gratis. E non sempre questo è sinonimo di qualità.

Non era facile fare tre grossolani errori in due periodi così brevi, ma Serafini c’è riuscita benissimo (e non era il suo primo incidente, visto il modo con cui più e più volte ha confuso il termine “Hacker” con quello di “Cracker” nell’ultimo mese, ma questo è un’altro discorso).

C’è da dire che Marta Serafini non è la prima nè l’unica giornalista che scrive delle affermazioni imprecise o totalmente sbagliate quando si parla di Software Libero e/o di Open Source, la lista sarebbe assai lunga. A giovamento di queste persone, voglio riportare qui di seguito alcuni concetti essenziali che è utile avere sotto mano quando si parla di queste cose. Ci sarebbe molto altro da aggiungere, e bisognerebbe argomentare maglio, ma già tenere a mente i punti che seguono è un deciso passo avanti.

  • Software Libero e Software Open Source sono due cose un po’ diverse, ma per semplicità diciamo che sono sinonimi, e per praticità chiamiamoli “Open Source” di qui in poi.
  • I programmi Open Source NON sono gratis. Spesso lo sono, ma la gratuità non è una caratteristica fondamentale.
  • Ci sono aziende che guadagnano barcate di soldi col software Open Source. Red Hat, un’azienda americana, ha fatturato 1 miliardo di dollari l’anno scorso grazie all’Open Source (ed è solo una tra le tante).
  • Il senso profondo dell’Open Source è che il codice del programma (quello che viene scritto dal programmatore) debba essere liberamente accessibile, per una serie di ragioni tremendamente importanti e che sono troppo lunghe da riportare qui (ne riparliamo al corso avanzato).
  • Il Software Open Source NON è gratis. E’ libero. Sono due cose diverse.
  • La libera accessibilità del codice scatena una serie di meccanismi che rendono il Software Open Source qualitativamente migliore rispetto al software proprietario.
  • Il Software Open Source è spesso di qualità così eccellente che Google ha scelto il Software Open Source chiamato “Linux” come base per il sistema operativo Android, e quello chiamato “Python” per molti dei suoi siti web.
  • Il Software Open Source (Linux, in particolare) fa girare il 93,8% dei supercomputer più potenti del mondo. Tanto per parlare di progetti che alla qualità ci tengono, un pochino.
  • Il Software Open Source funziona talmente tanto bene che perfino Microsoft (che lavora solo nell’ambito del software proprietario) usa Linux per i server del proprio motore di ricerca.
  • Ad essere Open Source è il software, non i database, o la musica, o i libri, o altri tipi di dati. Quelli lì si chiamano Open Content o Open Data, a seconda dei casi. Si somigliano, si vogliono bene, ma non sono la stessa cosa.
  • Il Software Libero ed il Software Open Source NON sono gratis. Giusto nel caso non si fosse capito.

Quindi, cara Marta Serafini, capisci perchè se dici che: 1) i contenuti di Wikipedia sono Open Source; 2) L’Open Source è gratis; 3) L’Open Source è di scarsa qualità; stai dicendo tre colossali stupidaggini? Quando un giornalista che scrive per un giornale importante firma un articolo impreciso e sbagliato, sta sfuggendo alla funzione fondamentale del giornalista, che è quello di informare e permettere alla gente di avere una mentalità critica su quello che succede. Quell’articolo, e i tanti altri che molti tuoi colleghi hanno scritto in passato anche su altre testate, è ingiustamente diffamatorio e non aiuta a fare chiarezza. Eppure le cose che ho riportate più su sono scritte su migliaia di altri siti web, sarebbe bastata una veloce ricerca su Google per scrivere in maniera più consapevole.

 

 

Una (gnome-)shell al giorno toglie Unity di torno

Ok, Natty non porterà gnome-shell sui vostri computer, a meno che non lo chiediate espressamente ad apt-get. Tuttavia, l’affezionatissimo vostro, fresco di Unity sul suo EEE da hacking battagliero on the road con Natty1, non poteva fare a meno di fare qualche giro di pista con gnome-shell2 in vista del rilascio finale che ormai dista meno di un paio di mesi. E poi, se permettete, pochi al mondo possono permettersi di compilare l’ashella con l’assistenza personalizzata di un membro del Release Team di GNOME, nonchè mio-nuovo-tesoro-non-ancora-ammmore, quindi, se permettete, io ne abuso alla grande.

Tuttavia, colto da improvvisa e inspiegabile bontà, eccomi a voi con questa guida quick-and-dirty per ottenere un’ashella sulla vostra installazione di Maverick, così che anche voi possiate godere di un po’ di pornografia3 gratuita sul vostro computer.

Ingredienti per 4 persone:

  • tre chili di computer;
  • due etti di scheda grafica Ati (avete una nvidia tagliata fina fina o qualche intel presa al discount sotto casa? Provate, ma non garantisco);
  • un terminale ben stagionato;
  • un cucchiaio di documentazione di alta qualità;
  • una birra (la Rochefort 8 si abbina molto bene all’aroma fruttato di jhbuild);
  • Ubuntu 10.04 q.b.

Per cominciare, prendete un bicchiere a calice di foggia adeguata e versate la birra producendo adeguata schiuma. Godetevi i profumi emanati dalla vostra Rochefort e mettete da parte il tutto, vi servirà tra poco.

Subito dopo, prendete il vostro terminale stagionato e lanciate il comando indicato nel primo dei due Sacri Testi per togliere di mezzo un po’ di file .la. Potrebbe darsi che vi stiate chiedendo a cosa diavolo servano questi file e perchè dobbiate toglierli. Orbene, potrei dirvelo, ma poi dovrei uccidervi. Quindi fidatevi e spazzate via tutta quella roba. A vostro piacere, applicate anche l’orribile (ma comodo) comando aggiuntivo per evitare che i file in questioni sbuchino di nuovo fuori da ogni dove appena apt-get rimetterà le sue manacce sul vostro sistema.

Fatto? Brrrene! A questo punto possiamo fare sul serio. Aprite il secondo Sacro Testo e tenetelo sempre a disposizione per un rapido sguardo. La cosa interessante della compilazione dell’ashella è che può essere utilizzata direttamente dalla home, senza sporcare in giro. Quindi, prendete di nuovo il vostro terminale4 e create una cartella apposita nella vostra home (ad esempio, ~/gnome-shell). Ora tirate giù l’apposito script:

curl -O http://git.gnome.org/browse/gnome-shell/plain/tools/build/gnome-shell-build-setup.sh

e subito dopo lancietelo:

/bin/bash gnome-shell-build-setup.sh

Lo script controllerà che abbiate le dipendenze giuste, creerà un paio di cartelle che vi servono (segnatamente, ~/bin ~/Source) e tirerà giù un jhbuild precotto che userete d’ora in poi. A questo punto potete sorseggiare un piccolo assaggio della vostra birra che nel frattempo avrà avuto modo di respirare e di perdere quel po’ di schiuma in eccesso.

Prima di infornare serve un piccolo ritocchino. Applicate la pezza al file giusto nella cartella ~/gnome-shell/source/libcanberra-0.26/src/, dopodichè spostatevi dentro ~/bin e infornate a 180° per circa un’ora5 con:

./jhbuild build

A questo punto, mentre il vostro computer sarà impegnato a compilare ben 33 diversi moduli, voi siete autorizzati a mettere le gambe sul tavolo, sbragarvi mollemente sulla poltrona e gustare la vostra Rochefort mentre ammirate le scrittine incomprensibili che scorrono sul vostro buon terminale stagionato.

Gli intenditori raccomandano la degustazione di gnome-shell appena sfornata, ancora calda, per poter godere di tutta la sua fragranza. Affilate il coltello e tagliate una fettina sottile sottile con:

./jhbuild run gnome-shell --replace

Purtroppo, non sempre le ricette vengano propio bene, specie quando uno le prova la prima volta. Infatti, potrebbe capitare che la vostra gnome-shell si sbricioli miseramente invece di sorprendervi col suo sapore. Talvolta la colpa è dei driver della scheda grafica, spiacevole evenienza accaduta anche all’affezionatissimo vostro. In tal caso, è sufficiente andare al supermercato Launchpad più vicino e comprare un po’ di driver Gallium appena munti: li trovate sullo scaffale dei cibi pronti, tra le olive all’ascolana e la parmigiana di melanzane. Alcuni dicono che aggiungere i driver Gallium alla ricetta potrebbe danneggiare il vostro forno: in tal caso, rivolgetevi alle cure del ppa-purge che trovate in allegato.

Et voilà: cotto, e mangiato! (cit.)

Note:

  1. reinstallata da capo più e più volte per colpa dell’hacking battagliero on the road…
  2. d’ora in poi, per brevità, “l’ashella”
  3. ogni riferimento a blogger (o presunti tali…) realmente esistenti è puramente casuale
  4. mi raccomando, la stagionatura è importante
  5. il tempo di cottura potrebbe variare sensibilmente

ubuntu@fermo, una settimana dopo.

Ok, mettiamola così: ubuntu@fermo è andata decisamente bene, nonostante le minacce di nevicate abbondanti, i consueti rischi sull’assenza del proiettore, i virus che hanno tentato (senza successo) di impedire ai relatori di raggiungere Fermo e svariati altri piccoli imprevisti che abbiamo dribblato con l’agilità del miglior Pelè dei tempi d’oro.

Ubuntu@Fermo

Doverosi e quantomai meritati i ringraziamenti per il FermoLUG, per la comunità di ubuntu-it, per i relatori che sono arrivati da ogni dove, per le istituzioni che ci hanno concessi gli spazi per la conferenza, per il folto pubblico che si è unito a noi sabato. Un grazie enorme ad ognuno di voi. Il successo di questo evento è tutto merito vostro.Ubuntu@Fermo

Visto che ci sono stati già dei resoconti dettagliati sulla questione, posso concedermi il lusso di parlare di qualche piccolo retroscena. D’altra parte, sono queste le cose che vogliono sapere tutti, no?

Logistica

Cominciamo subito dal punto più delicato e che ha tenuto in ansia l’intera comunità per giorni: Silvia ce l’ha fatta ad arrivare a Fermo, senza sbagliare stazione. Ok, ha ricevuto un piccolo aiutino nell’arrivare fin qui, ma siamo tutti orgogliosi dei progressi che sta facendo da Perugia. Brava!

Vettovagliamenti

Se volete organizzare un meeting nella vostra città, ricordatevi che le attività intellettuali richiedono un’alimentazione sana. Inoltre, noi di ubuntu-it mangiamo. E anche parecchio.

Ubuntu@Fermo

La comunità si è particolarmente contraddistinta nell’apprezzamento di certi aperitivi in un certo bar in Piazza del Popolo, come confermano le testimonianze fotografiche. Qualche giorno fa sono tornato nello stesso bar in compagnia di un’amica e il volto del barman si è rapidamente adombrato quando si è accorto che non stava entrando la consueta combriccola multietnica e poliglotta del fine settimana scorso. Mi spiace, amico barman, non può essere sempre Pasqua (cit.).

Documentazione audio-video

La comunità è ben fornita di appassionati fotografi e la documentazione fotografica è ottima e abbondante. Ci sarebbe anche un video, opportunamente torrentizzato, ma soprattutto depurato da tutti i commenti maligni che il proprietario di questo blog ha espresso inavvertitamente nelle vicinanze della telecamera. A breve, filmati in streaming dei singoli talk saranno inseriti direttamente sul sito del FermoLUG.

I talk

Devo dire che la qualità dei talk è stata piuttosto alta, riscuotendo un notevole successo tra il pubblico, opportunamente interrogato a fine conferenza e nei giorni successivi.

A scanso di equivoci, se vi sentite vicini alla comunità di Debian e notate foto che potrebbero urtare la vostra sensibilità, aspettate di guardare il video completo prima di partire con una distro-flame. L’apparenza inganna, come sempre.

Ah, se organizzate un meeting ricordatevi di tenere allegri i vostri relatori, farà bene ai loro talk. A volte basta poco, qualche dolcetto su un’alzatina e quel fanciullino che è dentro di loro salta subito fuori.

Ubuntu@Fermo

Location, location, location!

Ok, il San Martino è una figata. L’idea era fare il meeting in un luogo più piccino per dare l’impressione del pienone, ma ce l’hanno soffiato all’ultimo. Però il San Martino è una figata, e va bene così.

Quando si organizzano eventi del genere, la location è importante, e le dimensioni contano. Jeremie ne sa qualcosa.

Ubuntu@Fermo

Varie ed eventuali

Probabilmente Ubuntu@Fermo farà il bis l’anno prossimo, vedremo. Sicuramente in un mese con un minore rischio neve e più godibile un pò da tutti: il proprietario di questo blog non può permettersi di trascorrere un’altra settimana ad aggiornare ogni 10 minuti il sito di ilmeteo.it, che tra l’altro ha preso una cantonata clamorosa.

Ubuntu@Fermo

Dimenticavo: bisognerebbe parlare di Cuneo, ma ho firmato un NDA. Se siete curiosi e non riuscite a resistere, provate a chiedere a elleuca.